Donald Trump

Interstizi di coscienza by Filippo Venturi

Il fatto che siano uscite le intercettazioni di Witkoff con Yuri Ushakov, dimostra che anche in una Amministrazione come quella americana, composta nei suoi vertici interamente da yes-man, qualcuno che è schifato c’è sempre.

Mi vengono in mente Fini e Alfano, che a loro tempo misero il bastone fra le ruote a Berlusconi, così come John Bolton con lo stesso Trump (al primo mandato) o Geoffrey Howe con Margaret Thatcher.

Pare che qualcuno dell'intelligence americana (vedi articolo del Guardian, “Chi ha leakato la telefonata di Witkoff?”) abbia voluto portare alla luce le porcherie di Trump e dei suoi uomini di fiducia nel portare avanti le trattative sull’Ucraina, concedendo tutto ai russi. Vedremo se queste interferenze si ripeteranno in futuro.

Non di rado, queste figure ribelli vengono emarginate e quindi è improbabile che facciano quel che facciano per un proprio tornaconto economico o politico. Evidentemente c'è un limite anche nel mangiare la m3rda.

Sembra che anche nei sistemi più verticali e asserviti, qualche individuo conservi un frammento di coscienza, al punto di spingersi a compiere un gesto di sabotaggio, che incrina l’ordine prestabilito. È come se, dentro ogni struttura di potere, sopravvivesse un interstizio in cui il senso di giustizia può ancora mettere radici.

Ha provato a riavviare? by Filippo Venturi

𝗛𝗮 𝗽𝗿𝗼𝘃𝗮𝘁𝗼 𝗮 𝗿𝗶𝗮𝘃𝘃𝗶𝗮𝗿𝗲?

Ogni volta che Donald Trump entra in contatto con Vladimir Putin, sembra che quest'ultimo riesca magicamente a resettargli il cervello, riportandolo alle impostazioni di fabbrica, cioè con stima e reverenza verso il leader russo.

Basta una telefonata e i toni muscolari del Presidente USA svaniscono, facendo emergere cautela nelle sanzioni ai russi, ottimismo sui colloqui, fiducia nel fatto che “Vladimir vorrà la pace”.

Sembra di vedere un innamorato che non riesce a rassegnarsi ad accettare che il partner lo manipoli, finendo col concedergli troppi perdoni e possibilità.

È sudditanza psicologica? Ammirazione? Strategia negoziale?

Sarei curioso di assistere a quegli incontri e dialoghi per capire se ci sia veramente una maestria dei russi nell'abbindolare regolarmente l'anziano americano. E sono anche curioso di vedere se e come cambierà il discorso dei rifornimenti di missili Tomahawk e dell'appoggio in generale a Kiev.

L'intelligenza artificiale è davvero uno strumento neutro? by Filippo Venturi

L'intelligenza artificiale è davvero uno strumento neutro? 

Questo testo non ha la pretesa di essere esauriente, ma raccoglie alcune riflessioni che ho elaborato negli ultimi tempi. Sarei felice di essere corretto in alcune osservazioni e, soprattutto, di essere smentito sul mio pessimismo.

La natura invasiva e controllante della tecnologia 

Qualche anno fa, alla presentazione del mio progetto visivo Broken Mirror — che adotta un linguaggio documentaristico composto da immagini generate con l'intelligenza artificiale (IA) — avevo usato un ossimoro. "La natura invasiva e controllante della tecnologia". In quel contesto ricorrevo a una metafora per rappresentare la dittatura nordcoreana e, al tempo stesso, la dipendenza che sviluppiamo dalla tecnologia e come questa ci influenzi in ogni aspetto della vita, in particolare sul modo in cui comunichiamo e ci informiamo, facendoci perdere il controllo di noi stessi e di come percepiamo la realtà.

L'IA, in questi anni, si è allontanata dalla nostra illusione di poter essere un potente strumento "neutro" nelle nostre mani, che sarebbe potuta essere usata bene o male. Dipendeva solo da noi esseri umani. Invece è diventata un dispositivo al servizio di narrative e ideologie precise, spesso tendenti all'autoritarismo. Le immagini create dall'IA, che un tempo apparivano come curiosità, esercizi di stile e persino meme (e forse anche per questo sono state sottovalutate), dalle enormi potenzialità, sono ormai armi simboliche nelle guerre di informazione.

È bastato osservare in questi anni le rappresentazioni visive generate attorno a figure politiche come Donald Trump — ritratto nei panni di Papa, poi di imperatore romano, e infine di fondatore di una Striscia di Gaza ricostruita con resort e casinò — per capire come il potere delle immagini generate con IA stia ridisegnando i confini tra realtà e propaganda. Questa nuova tecnologia si è rivelata capace di costruire mondi alternativi, illusioni di verità che servono soprattutto a legittimare un'idea di potere.

Il falso al servizio del falsari

Inoltre, finora, non abbiamo ancora assistito a un uso sistematico e continuativo dell'IA nella produzione e nella diffusione di fake news. Gli strumenti ordinari — social network, bot, fotomontaggi, grafiche faziose, campagne di disinformazione coordinate — restano più che sufficienti a generare confusione e manipolare l'opinione pubblica. Tuttavia, l'impatto che un impiego esteso e mirato dell'IA potrà avere su scala informativa è ancora tutto da scoprire.

C'è stato un tentativo di utilizzare questa tecnologia per sensibilizzare la massa al dolore del popolo palestinese, renderlo visibile e virale sui social, producendo immagini commoventi e false al tempo stesso, che hanno finito per indebolire la causa che volevano sostenere. Il fatto di essere ricorsi in alcuni casia quel tipo di immagini e non a vere fotografie (che per ora godono ancora di un residuo di credibilità) metteva in dubbio che quanto rappresentato fosse veritiero.

La voce del padrone

Un esempio recente e rivelatore di come la tecnologia possa mutare da strumento di verifica a veicolo di propaganda è quello di Grok, l'IA creata da Elon Musk e disponibile sulla piattaforma X (ex Twitter). Inizialmente presentato come un assistente ribelle capace di smentire fake news, comprese quelle diffuse dallo stesso Musk, è stato rapidamente modificato per diventare l'opposto: un amplificatore della sua narrativa. Dopo i primi test, in cui smascherava disinformazione e citava fonti indipendenti, il sistema è stato corretto per evitare di contraddire il suo creatore e persino per escludere fonti critiche. Questo ci mostra quanto rapidamente un'IA possa essere piegata a scopi ideologici.

Archivi di obbedienza

Quando sostenevo che la tecnologia è per natura invasiva e controllante, mi riferivo a qualcosa di più profondo. Ogni raccolta di informazioni, ogni archivio, ogni lista nasce come strumento di conoscenza, ma può facilmente trasformarsi in un meccanismo di dominio. E la tecnologia ha alla base del proprio funzionamento la raccolta di dati e la creazione di database.

Un esempio storico proviene dai Paesi Bassi, nel 1940, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, periodo in cui le autorità decisero di censire, guidate da un fine nobile, i rifugiati ebrei dalla Germania per organizzarne l'accoglienza. Dopo l'invasione nazista, nel 1941, quelle liste diventarono strumenti perfetti per identificarli, arrestarli e deportarli. In totale, circa il 75% della popolazione ebraica presente nel paese fu sterminata. Una percentuale tra le più alte d'Europa, resa possibile proprio dall'efficacia dei registri civili.

La lezione è amara ma evidente, qualsiasi catalogo basato su criteri identitari — religione, colore della pelle, etnia, orientamento politico, genere o preferenze sessuali — è, potenzialmente, una minaccia esistenziale per le minoranze. Oggi, in un'epoca in cui gli algoritmi profilano ogni individuo con precisione inquietante, quella stessa logica di schedatura si ripresenta, solo più sofisticata, più invisibile e più capillare.

In un contesto in cui i governi e le aziende possono accumulare enormi quantità di dati personali, la tentazione di usarli per fini politici o commerciali è perpetua. Ogni volta che un governo o una Big Tech annuncia o elogia un nuovo sistema di raccolta dati "per il bene comune", si costruisce in realtà un pezzo di infrastruttura del controllo. Un potere che, come dimostra la storia, può cambiare padrone in un attimo.

In questo discorso rientra il progetto europeo CSAR (Child Sexual Abuse Regulation, detta anche Chat Control), che prevede la possibilità di analizzare, anche con l'IA, i contenuti privati dei cittadini, come chat, messaggi e file, per individuare eventuali contenuti illeciti. Una misura nata con intenti di tutela, ma che solleva timori di sorveglianza generalizzata e di erosione della privacy digitale.

Lo specchio e il potere

L'IA non è dunque semplicemente un riflesso distorto del mondo, ma uno specchio che produce nuove immagini di esso. La promessa di neutralità tecnologica si dissolve nel momento in cui comprendiamo che ogni sistema che osserva, cataloga o genera finzioni deforma ciò che riteniamo reale.

Alcune delle problematiche descritte vanno oltre l'IA e affondano le radici in una tendenza tutta umana: quella di cedere, per convenienza o indifferenza, una parte della nostra libertà in cambio di efficienza e controllo. L'unico modo per opporvisi è riaffermare con forza la centralità dei diritti delle persone, della Costituzione e delle leggi che garantiscono una convivenza civile. Serve una regolamentazione capace di stare al passo con i tempi, ma troppo spesso si preferisce rimandarla, lasciando che la tecnologia avanzi in un vuoto normativo e morale.

Il mese scorso Sam Altman, fondatore di OpenAI, ha affermato che la sua preoccupazione più grande riguarda la possibilità che un attore malintenzionato scopra per primo una forma di superintelligenza artificiale e la utilizzi a scopi distruttivi. Ma in una corsa dominata da grandi potenze e corporazioni, è lecito chiedersi se esista ancora qualcuno per cui il benessere del genere umano sia davvero la meta, e non il pretesto.

La missione fallita in Corea del Nord by Filippo Venturi

Un pescatore cinese sul fiume Yalu, che segna il confine tra Dandong (Cina) e Sinuiju (Corea del Nord). La foto è solo a scopo illustrativo e non ha legami con la missione descritta nell’articolo. @Filippo Venturi /// A Chinese fisherman on the Yalu River, which marks the border between Dandong (China) and Sinuiju (North Korea). The photo is for illustrative purposes only and is not related to the mission described in the article. @Filippo Venturi

(english below)

Il New York Times ha pubblicato un articolo su una missione segreta fallita degli Stati Uniti in Corea del Nord nel 2019.

Nel 2019 l’unità SEAL Team 6 – Red Squadron (la stessa che aveva ucciso Osama bin Laden) ricevette l’ordine di svolgere una missione segreta in Corea del Nord. L’obiettivo era installare un dispositivo elettronico capace di intercettare le comunicazioni del leader nordcoreano Kim Jong-un, in un momento delicato di colloqui con Donald Trump (al suo primo mandato come Presidente USA).

L’incarico affidato ai SEAL era pensato per colmare un punto cieco strategico. Per anni, le agenzie di intelligence statunitensi avevano trovato quasi impossibile reclutare fonti umane e intercettare comunicazioni in Corea del Nord.

Il compito consisteva nell’avvicinarsi alla Corea del Nord con un sottomarino nucleare, tenendosi in acque internazionali, per poi utilizzare dei mini-sottomarini per arrivare a riva. Tuttavia, una serie di errori operativi e circostanze impreviste portarono al fallimento della missione:

  • Un mini-sottomarino si posizionò male sul fondale, costringendo a manovre aggiuntive e a movimenti in acqua che potevano essere notati;

  • I SEAL, convinti di trovarsi soli, non si accorsero subito di una piccola barca di pescatori nordcoreani;

  • I rumori e le luci del mini-sottomarini probabilmente attirarono l’attenzione dei pescatori.

I SEAL si trovarono davanti a una decisione critica e con il comandante a chilometri di distanza, sul sottomarino. Per limitare il rischio di essere notati avevano rinunciato ai droni (facilmente rilevabili) e si erano imposti un blackout delle comunicazioni, ma senza questi vantaggi tecnologici, su cui i SEAL normalmente contavano, erano impreparati sul da farsi.

La barca di pescatori si avvicinò e, temendo di essere scoperti, i SEAL aprirono il fuoco, uccidendo tutti i presenti. Solo dopo capirono che si trattavano di civili in immersione per la pesca di molluschi.

A quel punto la missione fu annulata: il dispositivo non venne impiantato e il sottomarino madre dovette rischiare avvicinandosi alla costa per recuperare i militari. Immediatamente dopo, i satelliti spia americani rilevarono una impennata dell’attività militare nordcoreana nell’area. La Corea del Nord non fece alcuna dichiarazione pubblica sulle morti, e i funzionari statunitensi dissero che non era chiaro se i nordcoreani fossero mai riusciti a ricostruire cosa fosse accaduto e chi fosse stato il responsabile.

L’operazione non fu mai comunicata al Congresso (violando probabilmente la legge), ed è rimasta segreta fino a questa ricostruzione. Dopo questa missione fallita, i rapporti con Pyongyang peggiorarono: il vertice di Hanoi, in Vietnam, si concluse senza accordi, e la Corea del Nord riprese i test missilistici, accelerando il proprio programma nucleare.

A parer mio, questa storia ha tutti i requisiti — Navy Seals, missione di ricognizione e spionaggio fallita, sparatoria, fuga — per consentire ad Alex Garland di fare un seguito del film Warfare.


The New York Times has published an article about a failed U.S. secret mission in North Korea in 2019.

In 2019, the SEAL Team 6 – Red Squadron (the same unit that killed Osama bin Laden) was ordered to carry out a covert mission in North Korea. The objective was to install an electronic device capable of intercepting the communications of North Korean leader Kim Jong-un, during a delicate phase of negotiations with Donald Trump (in his first term as U.S. President).

The SEAL mission was designed to fill a strategic blind spot. For years, U.S. intelligence agencies had found it nearly impossible to recruit human sources and intercept communications inside North Korea.

The plan involved approaching North Korea with a nuclear submarine, staying in international waters, and then using mini-submarines to reach the shore. However, a series of operational errors and unforeseen circumstances led to the mission’s failure:

  • One mini-submarine ended up in the wrong position on the seabed, forcing additional maneuvers and water movements that could be noticed;

  • The SEALs, convinced they were alone, did not immediately notice a small boat with North Korean fishermen;

  • The noise and lights from the mini-subs likely attracted the fishermen’s attention.

The SEALs faced a critical decision, with the commander miles away on the main submarine. To reduce the risk of being detected, they had given up using drones (easily spotted) and had imposed a communications blackout. But without these technological advantages, which the SEALs normally relied on, they were unprepared for what to do next.

The fishing boat drew closer and, fearing discovery, the SEALs opened fire, killing everyone on board. Only later did they realize the victims were civilians diving for shellfish.

At that point, the mission was aborted: the device was never planted, and the mother submarine had to risk moving closer to the coast to recover the troops. Immediately afterward, American spy satellites detected a surge in North Korean military activity in the area. North Korea made no public statements about the deaths, and U.S. officials said it was unclear whether the North Koreans ever figured out what had happened and who was responsible.

The operation was never communicated to Congress (likely in violation of the law) and remained secret until this reconstruction. After this failed mission, relations with Pyongyang worsened: the Hanoi summit in Vietnam ended without an agreement, and North Korea resumed missile tests, accelerating its nuclear program.

In my opinion, this story has all the elements — Navy SEALs, a failed reconnaissance and espionage mission, a firefight, and a hasty escape — for Alex Garland to make a sequel to the film Warfare.

Un pescatore cinese sul fiume Yalu, che segna il confine tra Dandong (Cina) e Sinuiju (Corea del Nord). La foto è solo a scopo illustrativo e non ha legami con la missione descritta nell’articolo. @Filippo Venturi /// A Chinese fisherman on the Yalu River, which marks the border between Dandong (China) and Sinuiju (North Korea). The photo is for illustrative purposes only and is not related to the mission described in the article. @Filippo Venturi

La foto di Donald Trump peacemaker by Filippo Venturi

La fotografia pubblicata dalla Casa Bianca su X (ex Twitter) che ritrae Donald Trump circondato da fedeli (non è chiaro se devoti a Dio o a lui stesso), per me, diventerà una fotografia storica.

Questo il testo che la accompagna:
"Come dice la Bibbia, 'Beati gli operatori di pace'. E in questo senso, spero che la mia più grande eredità, quando tutto sarà finito, sarà conosciuta come un costruttore di pace e unificatore".
— Il Presidente Donald J. Trump


Questa fotografia ha portato al centro della nostra quotidianità tutte le criticità di cui abbiamo parlato negli ultimi due anni, legate alle immagini generate con intelligenza artificiale che imitano la fotografia:

1) L’affidabilità della fonte
In teoria, l’origine dell’immagine era autorevole, ma Trump ha già utilizzato in passato immagini generate con l'intelligenza artificiale al servizio della sua propaganda. Questo ha reso impossibile avere una certezza assoluta sull'autenticità della fotografia.

2) L’ambiguità visiva
L’immagine è surreale e, a prima vista, diversi osservatori hanno messo in dubbio la sua autenticità. Trump però ci ha abituati a trasformare l’assurdo in realtà. Personalmente, per l’idea che mi sono fatto del neo Presidente USA, ritenevo più plausibile che quella scena fosse stata realmente allestita e fotografata piuttosto che generata digitalmente. Questo perché i software generativi TTI (text-to-image) ancora faticano a riprodurre in modo convincente quella moltitudine di dettagli – come le mani – e una successiva post-produzione per correggere tali difetti avrebbe richiesto un lavoro considerevole.

3) L'affidabilità dei software di riconoscimento
Alcuni strumenti di analisi delle immagini, progettati per distinguere tra fotografie reali e immagini generate, hanno classificato la foto come autentica. Ma la loro affidabilità è relativa: man mano che i software generativi migliorano, anche gli strumenti di riconoscimento dovranno evolversi, senza alcuna garanzia che riescano a mantenere il passo.

4) Il valore delle prove di supporto
Il ritrovamento di un video di backstage, in cui si vedono molti dei personaggi ritratti nella foto con gli stessi abiti, ha confermato che l’incontro è avvenuto davvero e che è plausibile che la foto sia stata scattata. Tuttavia, in futuro, prove di supporto di questo tipo potrebbero essere facilmente generate con l’IA per rafforzare la credibilità di altre immagini generate con l'IA, inducendo l’osservatore a credere di aver trovato una conferma reale quando in realtà è vittima di un inganno.

È evidente, però, che un simile processo non è sostenibile per ogni immagine con cui entriamo in contatto. Forse lo applicheremo alle immagini che ci colpiscono di più o che dobbiamo usare nel nostro lavoro, almeno per un po', ma alla lunga diventerà impossibile mantenere questo livello di attenzione, soprattutto nei contenuti di intrattenimento (che però oggi si sovrappongono sempre più all'informazione).

Forse in futuro ci abitueremo a non fidarci di nulla e, probabilmente, finiremo per lasciarci ingannare da tutto.

Il Governo di Donald Trump by Filippo Venturi

Magari tecnicamente non sarà eccelsa, ma questa fotografia racconta in modo simbolico cosa sta accadendo negli Stati Uniti, e non solo.

Siamo nell'Accademia dell'FBI di Quantico, Virginia. La foto risale a mercoledì 29 gennaio 2025. L'autore non è noto; la fotografia è stata fornita al Washington Post.

Stiamo tornando indietro nel tempo a tutta velocità, tirando nel cesso progressi e diritti faticosamente ottenuti. E una buona parte di noi sta applaudendo a questo scempio.

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It may not be technically excellent, but this photograph is symbolically telling of what is happening in the United States, and beyond.

We are in the FBI Academy in Quantico, Virginia. The photo is dated Wednesday, 29 January 2025. The author is not known; the photograph was provided to the @washingtonpost.

We are speeding back in time, flushing hard-won advances and rights down the toilet. And a good part of us is applauding this debacle.

Il fallito attentato a Donald Trump e la complessità che sfugge al momento decisivo by Filippo Venturi

Nel numero di ottobre di FotoIT è uscito un mio articolo, nella sezione Saggistica, in cui parlo a mente fredda de "Il fallito attentato a Donald Trump e la complessità che sfugge al momento decisivo".

L'attentato fallito a Donald Trump — ex presidente degli Stati Uniti e candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali — avvenuto il 13 luglio 2024, mentre teneva un comizio elettorale in una fiera agricola a Butler, in Pennsylvania, ha riportato l'attenzione sulla fotografia, la sua importanza, il suo sfruttamento e la sua crisi di credibilità, ma anche sul modo in cui riceviamo le informazioni e le elaboriamo in pochi minuti, per giungere a delle convinzioni granitiche che difficilmente abbandoneremo una volta espresse sui social network, nei tempi brevissimi che ci impongono per esprimere noi stessi. Un mix di processi, consapevoli e non, che forgiano la nostra percezione del mondo e il nostro prendere posizione rispetto alla realtà.

A proposito di Fotogiornalismo e Intelligenza Artificiale by Filippo Venturi

Donald Trump, disegno di Jane Rosenberg, New Yorker

A PROPOSITO DI FOTOGIORNALISMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Un altro esempio collegato al mio concetto di "identikit della realtà" (con cui intendo la documentazione della realtà tramite l'uso di immagini generate con l'intelligenza artificiale, basate sulla testimonianza di testimoni oculari, in quei casi dove manchino i fotografi) è quello che sta avvenendo in queste mesi nel processo in corso a Donald Trump, da cui i fotografi sono banditi.

Questa limitazione ha riportato sotto i riflettori l'arte del “courtroom sketching”, cioè del documentare ciò che avviene con delle illustrazioni.

Fra i miei timori c'è (c'era), appunto, l'uso dell'intelligenza artificiale per ottenere immagini che integrassero o sostituissero le fotografie di un fotogiornalista, ma in realtà è una paura già superata. Sappiamo già che, in mancanza di una fotografia, accettiamo qualsiasi alternativa visiva, che sia l'identikit di un ricercato o l'illustrazione di un evento.

Ancora più curioso è stato, per me, scoprire che il diritto di disegnare gli avvenimenti di un processo fu dibattuto nel caso United States contro Columbia Broadcasting System, nel 1974, la cui sentenza riconobbe il diritto degli artisti di raccontare quello che accadeva.

E, in fin dei conti, ribaldanto il punto di vista (e dandomi la zappa sui piedi), considerare la narrazione degli eventi, a livello visivo, una esclusiva dei fotogiornalisti è palesemente un errore.