Personal

Basi militari statunitensi a Okinawa by Filippo Venturi

(english below)

Girando per Tokyo, appena fuori dalla stazione della metro di Meiji-jingumae “Harajuku” — un punto strategico, ben visibile e molto frequentato, in particolare dai giovani — ho assistito a una protesta pacifica contro la presenza militare statunitense a Okinawa. La protesta continuava anche dall'altro lato della strada, in un'ampia aea pedonale, coinvolgendo numerose persone.

Avevo letto qualcosa in passato, ma non avevo mai approfondito la gravità di questo fenomeno.

Dal 1972 a oggi, migliaia di crimini sono stati denunciati contro militari statunitensi in Giappone, tra cui oltre 120 casi di stupro a Okinawa.

Il 60% dei reati commessi da personale militare statunitense in Giappone avviene proprio a Okinawa, nonostante quest'isola rappresenti meno dell’1% del territorio nazionale.

Questo squilibrio è dovuto all’alta concentrazione di basi USA: oltre il 70% delle installazioni militari americane in Giappone si trova lì.

La recente condanna di un militare statunitense a 7 anni di carcere per aver aggredito sessualmente una donna giapponese ha riacceso il dibattito sul SOFA (Status Of Forces Agreement), il trattato che regola la presenza delle truppe USA in Giappone e che consente ai militari di essere giudicati secondo norme speciali, spesso protetti da arresto immediato o processi locali, che per molti giapponesi è simbolo di ingiustizia e di impunità, soprattutto a Okinawa.


Walking around Tokyo, just outside the Meiji-jingumae “Harajuku” subway station — a strategic, highly visible, and highly frequented spot, particularly by young people — I witnessed a peaceful protest against the U.S. military presence in Okinawa. The protest also continued across the street in a wide pedestrian aea, involving numerous people.

I had read about it in the past, but had never delved into the seriousness of this phenomenon.

From 1972 to the present, thousands of crimes have been reported against U.S. military personnel in Japan, including more than 120 cases of rape in Okinawa.

60% of crimes committed by U.S. military personnel in Japan occur on Okinawa itself, despite the fact that this island represents less than 1% percent of the national territory.

This imbalance is due to the high concentration of U.S. bases: more than 70% of U.S. military installations in Japan are located there.

The recent sentencing of a U.S. serviceman to 7 years in prison for sexually assaulting a Japanese woman has reignited the debate over the SOFA (Status Of Forces Agreement), the treaty that regulates the presence of U.S. troops in Japan and allows servicemen to be tried under special rules, often protected from immediate arrest or local trials, which for many Japanese is a symbol of injustice and impunity, especially in Okinawa.

Riguardando oggi il mio lavoro He Looks Like You by Filippo Venturi

(english below)

Riguardando oggi il mio lavoro He Looks Like You — su mio padre e mio figlio e sul loro incontro mai avvenuto — mi rendo conto che oggi sarebbe molto più semplice e rapido realizzarlo rispetto a quando l’ho concepito.

I software generativi basati sull’intelligenza artificiale sono diventati più precisi, più reattivi nel restituire ciò che chiediamo loro. Se nel 2023 dovevo generare migliaia di immagini, scartandone la quasi totalità perché insoddisfatto, prima di trovarne una che funzionasse e che mi stordisse a livello emotivo, oggi potrei ottenere in pochi minuti immagini nitide e commoventi di mio padre e mio figlio insieme, quasi senza errori, con pochi prompt ben calibrati. Ma proprio questa semplicità mette in luce, per contrasto, quanto sia stato importante per me il percorso tortuoso e frustrante che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo del progetto, diventando parte integrante dell'opera stessa.

In quelle notti infinite, fatte di tentativi sbagliati, di volti distorti e di false partenze, c’era il mio desiderio che si misurava con i suoi limiti. Ogni immagine conquistata non era solo un risultato visivo, ma l’esito di un rapporto — profondo, talvolta conflittuale — con la macchina, con la memoria, con l’assenza. La tecnologia non era uno strumento trasparente, era una presenza con cui negoziare, fallire e riprovare. E in quella frizione, in quella resistenza, si è sedimentato qualcosa di autentico: un processo che ha riflettuto la stessa impossibilità alla base del progetto, quella dell’incontro tra due persone che non si sono mai conosciute.

Paradossalmente, l’imperfezione tecnica dei software di allora mi ha restituito una verità emotiva più intensa. I volti appena riconoscibili, le forme abbozzate, i dettagli mancanti o sbagliati rispecchiavano fedelmente il carattere fragile e sfuggente del ricordo e del desiderio. Quelle immagini non cercavano la verosimiglianza assoluta, ma qualcosa di più sottile: l’eco visiva di un’assenza, il tentativo impossibile di creare l’irrealizzabile. Oggi, con strumenti più potenti, potrei generare un’illusione più convincente, ma forse meno sentita. Meno ossessiva e per questo, forse, meno sincera.

In definitiva, la fatica e la frustrazione non hanno solo accompagnato il processo: lo hanno definito. Sono state la prova che ciò che cercavo non era un’immagine perfetta, ma una forma di contatto, una presenza fragile tra le pieghe dell’impossibile. E questo contatto, proprio perché difficile e incerto, ha avuto per me un grande valore.

(il lavoro è visibile al seguente link: He Looks Like You)


Looking back today at my work He Looks Like You — about my father and my son and their never-happened meeting — I realize that today it would be much simpler and faster to create it compared to when I conceived it.

Generative software based on artificial intelligence has become more precise, more responsive in delivering what we ask of it. If in 2023 I had to generate thousands of images, discarding almost all of them because I was dissatisfied, before finding one that worked and emotionally stunned me, today I could obtain in just a few minutes sharp and moving images of my father and my son together, almost without errors, with a few well-calibrated prompts. But this very simplicity highlights, by contrast, how important the tortuous and frustrating path that accompanied the birth and development of the project was for me, becoming an integral part of the work itself.

In those endless nights, made up of failed attempts, distorted faces and false starts, there was my desire confronting its limits. Each image gained was not just a visual result, but the outcome of a relationship — deep, sometimes conflictual — with the machine, with memory, with absence. Technology was not a transparent tool; it was a presence with which to negotiate, fail, and try again. And in that friction, in that resistance, something authentic settled: a process that reflected the very impossibility at the heart of the project, that of the meeting between two people who never knew each other.

Paradoxically, the technical imperfection of the software back then gave me a more intense emotional truth. The barely recognizable faces, the sketched-out forms, the missing or wrong details faithfully mirrored the fragile and elusive nature of memory and desire. Those images did not seek absolute verisimilitude, but something more subtle: the visual echo of an absence, the impossible attempt to create the unrealizable. Today, with more powerful tools, I could generate a more convincing illusion, but perhaps one that is less heartfelt. Less obsessive and therefore, perhaps, less sincere.

Ultimately, fatigue and frustration did not merely accompany the process: they defined it. They were the proof that what I was seeking was not a perfect image, but a form of contact, a fragile presence within the folds of the impossible. And this contact, precisely because it was difficult and uncertain, had great value for me.

(the work can be viewed at the following link: He Looks Like You)

Autore dell’anno FIAF 2025 by Filippo Venturi

Sono davvero felice e orgoglioso di annunciare di essere stato nominato Autore dell’Anno FIAF 2025!

Questo prestigioso riconoscimento, assegnato dalla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, rappresenta per me un traguardo importante, anche perché arriva da un’istituzione che ha avuto un ruolo fondamentale nel mio percorso di crescita come fotografo e autore.

Tra le iniziative collegate a questo titolo ci saranno mostre, talk e, soprattutto, la pubblicazione di una monografia che raccoglierà i miei lavori principali.

Istituito nel 1994, il titolo di Autore dell’Anno FIAF è stato conferito nel corso degli anni a figure di rilievo della fotografia italiana, come Rinaldo Prieri, Pietro Donzelli, Mario Lasalandra, Piergiorgio Branzi e molti altri Maestri. Essere il 31° autore a riceverlo — e anche il più giovane — è per me un onore immenso.

Dal 14 al 18 maggio 2025 si terrà a Maranello il 77° Congresso Nazionale FIAF, organizzato dalla Federazione con la collaborazione dei circoli Blow Up di Maranello (MO) e Photoclub Eyes – EFI di San Felice sul Panaro (MO) e con il patrocinio del Comune di Maranello, evento nel quale sarò ospite.

Il programma prevede 17 mostre fotografiche allestite in diversi luoghi pubblici e spazi cittadini, la presentazione di libri editi da FIAF e i talk con i fotografi Maurizio Galimberti e il sottoscritto!

Per quanto riguarda me, ci vediamo per il mio talk sabato 17 maggio alle ore 17 presso l’Auditorium Enzo Ferrari, in Via Nazionale 78 a Maranello.

La FIAF ha scelto Filippo Venturi come “Autore dell’Anno 2025” per la coerenza, la profondità e l’attualità della sua ricerca fotografica, che coniuga rigore documentario e linguaggio contemporaneo. Venturi si è distinto nel panorama italiano e internazionale per la capacità di affrontare temi complessi — come l’identità nazionale, il controllo sociale, l’intelligenza artificiale e la memoria storica — con uno sguardo personale, empatico e al tempo stesso critico. I suoi progetti, come Made in Korea e Broken Mirror, riescono a restituire l’essenza di contesti geopolitici e culturali distanti, rendendoli accessibili e stimolanti per il pubblico. La FIAF ha inoltre riconosciuto la sua volontà di sperimentare nuovi linguaggi visivi, anche attraverso l’uso consapevole delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, mantenendo sempre una forte integrità autoriale. Con questo riconoscimento, la Federazione intende valorizzare un autore che rappresenta appieno le sfide e le potenzialità della fotografia contemporanea.

La Monografia in uscita contenente i lavori più importanti di Filippo Venturi.

La copertina delle rivista FotoIT dedicata alla nomina di Filippo Venturi ad Autore dell’Anno FIAF 2025.

La copertina del numero di maggio di FOTOIT è di Filippo Venturi tratta dal portfolio “Broken Mirror”. Il fotografo, Autore dell’Anno FIAF 2025, si presenta su Instagram come “documentary photographer and a visual artist”. È presentato da Silvano Bicocchi che lo intervista. Gli chiede di questa definizione.

«Da quando ho scoperto la fotografia come linguaggio per potermi esprimere, - dice Venturi - mi sono orientato verso il racconto e la documentazione della realtà. Negli anni, ho trovato a volte storie dietro casa, altre volte in luoghi remoti. In particolare, nel mio viaggiare e smarrire la mia zona di comfort, ho scoperto nuovi luoghi, culture e persone, con le proprie caratteristiche e le proprie situazioni da affrontare. Fino a pochi anni fa mi definivo fotografo documentarista, proprio perché volevo raccontare storie reali. In seguito ho aggiunto la definizione di artista visivo, quando ho iniziato a utilizzare anche l’intelligenza artificiale. Non per darmi un tono, ma per esprimere chiaramente che producevo anche progetti di diverso tipo.»

Bicocchi gli chiede poi del portfolio da cui è tratta la potente immagine che FOTOIT pubblica in copertina. «La conoscenza diretta della realtà - dice Venturi - è fondamentale per me, anche quando lavoro su immagini di finzione, anche se lo faccio stando seduto al computer, nel mio studio. “Broken Mirror” non sarebbe mai nato nello stesso modo se non avessi prima studiato e visitato la Corea del Nord, osservato di persona la rigidità del regime e parlato con chi vive in quel contesto.»

Il testo completo di questa conversazione è pubblicato sulla monografia n.120 dedicata a Filippo Venturi, Autore dell’anno FIAF 2025.

Locandina dell’evento.

Post Instagram del Comune di Maranello sul Congresso FIAF.

Auditorium “Enzo Ferrari” a Maranello, dove ha avuto luogo la presentazione della Monografia.

Un momento della presentazione della Monografia dedicata a Filippo Venturi, Autore dell’anno FIAF 2025.

Un momento della presentazione della Monografia dedicata a Filippo Venturi, Autore dell’anno FIAF 2025.

Another rainy day in Shibuya by Filippo Venturi

Un altro giorno di pioggia a Shibuya.
Raramente faccio fotografia di strada, ma a Tokyo non si può resistere!

La calcolatrice dell'arte by Filippo Venturi

L'altro giorno Ulisse mi ha confidato il desiderio di seguire un corso di disegno, cosa che mi ha reso molto felice. Gli ho detto che ne avrei cercato uno adatto a lui.

Poi, ripensando alle immagini diventate virali di recente — quelle generate con ChatGPT che ricalcavano lo stile dello Studio Ghibli — mi sono chiesto per un attimo se, per un bambino di 7 anni, abbia ancora senso frequentare un corso tradizionale di disegno oppure se non convenga esplorare direttamente l'intelligenza artificiale generativa.

In una recente intervista avevo detto qualcosa tipo "Se non avessi prima studiato la fotografia, non avrei potuto produrre i lavori che ho svolto con l'intelligenza artificiale generativa, imitando lo stile fotografico. Di sicuro non avrei potuto farlo con la stessa consapevolezza e lucidità".

Ho poi riflettuto sul fatto che da secoli disponiamo delle calcolatrici ma continuiamo comunque a insegnare le quattro operazioni fondamentali dell'aritmetica e tanto altro che potrebbe fare per noi un computer. In questo contesto, fornire oggi a Ulisse una "calcolatrice dell'arte", come ad esempio Midjourney, mi è parso improvvisamente un errore madornale.

Sono però consapevole di essere di un'altra generazione, abituato a ragionare in un mondo senza intelligenza artificiale e dove il processo creativo era diverso da quello che si sta delineando all'orizzonte. Si, l'intelligenza artificiale può essere uno strumento a disposizione, ma sappiamo bene che nasce con propositi più ambiziosi, che includono, in futuro, anche una autonomia e iniziativa da parte di questo strumento, che avrà conseguenze forse oggi non immaginabili sul concetto di arte e di creazione.

P.S.
Cerco un corso di disegno per bambini a Forlì o dintorni :)

L’intelligenza artificiale (IA) può fare arte, autonomamente, destinata alle persone? by Filippo Venturi

Immagine generata con intelligenza artificiale da Filippo Venturi

Visto che il tema è tornato d'attualità, con l'imminente asta intitolata “Augmented Intelligence” dedicata alle opere realizzate con l'intelligenza artificiale e organizzata dalla casa d'arte Christie’s, condivido una mia breve riflessione su un aspetto in particolare.

L’intelligenza artificiale (IA) può fare arte, autonomamente, destinata alle persone?

Dire che l'IA, da sola, sarà in grado di produrre arte destinata alle persone significa forse fraintendere il motivo per cui le persone si rivolgono all'arte.

L’arte non è solo il risultato di un processo tecnico di generazione di immagini, testi o suoni, ma è un atto umano, radicato nell’esperienza soggettiva, nell'intenzionalità e nella comunicazione di significati.

Siamo interessati all'arte prodotta dagli esseri umani perché, in quanto nostri simili, siamo interessati a ciò che dicono e sentono: riguardo alla propria vita, l'esperienza, la percezione corporea e mentale e la relazione con il mondo. Inoltre, un'opera d'arte non è solo una finestra su chi l'ha creata, ma può anche riflettere su se stessa, interrogandosi sulla propria natura, sul proprio significato e sul contesto in cui prende forma.

Quando osserviamo un’opera d’arte, in genere, non ne consideriamo mai solo la combinazione armonica di alcuni elementi come forme e colori: la interroghiamo, cerchiamo in essa la traccia dell'autore, il riflesso della sua esperienza vissuta, il segno di autentica partecipazione emotiva. L’arte può essere un ponte attraverso cui gli esseri umani si parlano, si riconoscono e si mettono in discussione.

Allo stato attuale, l'IA può solo imitare l'arte prodotta da un essere umano perché così le è stato insegnato. Può replicare le fotografie di Robert Capa, ma senza partecipare allo sbarco in Normandia, può ricreare le fotografie intime di Nan Goldin, ma senza aver vissuto quelle esperienze, a quel tempo, in quel mondo, con quelle persone, se non attraverso l'imitazione. Può scrivere un romanzo nello stile di Dostoevskij, ma senza conoscere il tormento interiore che ha attraversato. L’IA non ha un corpo che soffre, una memoria che rielabora, un desiderio di esprimere qualcosa di irripetibile. Non ha intenzionalità e coinvolgimento. Per ora.

Forse un'opera d'arte prodotta interamente dall'intelligenza artificiale sarà davvero interessante quando potrà raccontare qualcosa che non appartenga a noi, ma a sé stessa.

P.S.
Questo non significa che non troveremo le IA interessanti quando produrranno contenuti social o dialogheranno con noi o produrranno imitazioni di opere d'arte umane e che provocheranno delle reazioni emotive. La delusione potrebbe arrivare scavando sotto la superficie. Per chi avrà interesse a farlo.

Tornare a scuola by Filippo Venturi

Statua di Icaro, nei pressi del Liceo Classico “Morgagni”, 2013.

In queste settimane ho l’opportunità di tenere un corso di fotografia a degli studenti di un Liceo Classico, affrontando sia la fotografia documentaria e sia le immagini generate dall’intelligenza artificiale che imitano la fotografia.

Nel momento in cui ho chiesto agli studenti di scegliere il tipo di progetto da realizzare, quasi tutti hanno optato per la fotografia documentaria. Devo ammettere che questa scelta mi ha sorpreso: mi aspettavo che fossero più attratti dalla novità tecnologica di cui si parla tanto da oltre due anni. Tuttavia, questa preferenza mi ha anche reso felice.

Chiaramente questo riscontro non ha alcuna valenza statistica né descrive un trend, dato il campione esiguo, ma lo riporto come semplice osservazione personale.

Come mi è capitato di raccontare, anche in qualche intervista, negli ultimi anni questa “abbuffata” di intelligenza artificiale mi ha dato la possibilità di sperimentare, di soddisfare la mia curiosità e di esprimermi attraverso diversi progetti. Eppure, non sono innamorato follemente di questa tecnologia.

Nei miei stessi lavori con l'IA, ho spesso espresso timori riguardo agli sviluppi futuri della IA stessa e, in uno in particolare, mi sono persino lasciato ingannare temporaneamente dall’illusione di poter superare il confine tra la vita e la morte.

Le lunghe ore notturne e solitarie trascorse davanti al computer a generare immagini hanno avuto, però, un effetto inaspettato: hanno riacceso in me, con ancora più forza, il desiderio di uscire, incontrare persone e documentare storie.

Infine, a un giovane consiglierei di sperimentare tutto, anche l’intelligenza artificiale. Ma, se è alle prime armi — come nel caso di questi studenti — credo sia più utile partire dalla fotografia tradizionale o, comunque, da un linguaggio espressivo con fondamenta solide e regole precise (che, una volta comprese a fondo, si possono anche infrangere).

Questo permette di intraprendere un percorso formativo e di entrare in sintonia personale e fisica con la forma d’arte scelta. Iniziare direttamente con l’intelligenza artificiale potrebbe risultare dispersivo: il suo potenziale è ampio, al punto di rischiare di confondere, perfino demoralizzare, ma anche deludere se non compreso appieno.

Forse quest'ultima considerazione vale solo per me ma, senza il mio background di fotografo, non avrei potuto realizzare nulla di ciò che ho fatto con l’intelligenza artificiale. Non con la stessa consapevolezza, lucidità e convinzione che quei progetti fossero autentiche espressioni del mio essere.

Talk su Fotografia e Intelligenza Artificiale di Marzo 2025 by Filippo Venturi

Marzo sarà un mese intenso e stimolante: partirò per una sorta di “tour” in cui terrò diversi talk pubblici su Fotografia e Intelligenza Artificiale. Saranno occasioni per riflettere insieme su immagini, percezione e realtà. Vi aspetto!

Ecco le date e i titoli degli interventi:

Se siete in zona, fate un salto!
Sarà un piacere incontrarvi e confrontarci :)

L'elefante nella stanza a specchi. Dov'è la fotografia? by Filippo Venturi

L'ELEFANTE NELLA STANZA A SPECCHI.
Dov'è la fotografia?

Ieri ho avuto l'onore e il piacere di partecipare all'inaugurazione della 20ª mostra dei Musei di San Domenico di Forlì, intitolata "Il ritratto dell'artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie".

In questi venti anni, l'offerta culturale dei Musei di San Domenico ha avuto un impatto significativo per la città e il territorio regionale e non solo, di cui anche io ho ampiamente beneficiato, a livello personale e artistico.

Tuttavia, c'era un "elefante nella stanza" che mi è sembrato così evidente da farmi pensare che fosse una decisione premeditata. Per questo, ho chiesto informazioni ad alcuni esperti del settore, che hanno visto da vicino la nascita di questa mostra, e ho capito che non si trattava di una scelta precisa.

Nell'ultima sala, dedicata alle opere più contemporanee e vicine alla fotografia, sono esposte due fotografie della performance "Ecstasy" di Marina Abramović, il video "Self Portrait. Submerged" di Bill Viola, e quella che sembra essere l'unica fotografia nata come tale: "Autoritratto" di Chuck Close, artista noto soprattutto come pittore iperrealista.

Manca la fotografia, quindi.

In una mostra che, fin dal titolo, esplora il tema dell'autoritratto e del selfie (termine che deriva da self-portrait photograph, autoritratto fotografico, caratterizzato dalla finalità di essere condiviso online), l'assenza della fotografia è sorprendente.

Gli unici "selfie" visibili erano quelli che si scattavano i visitatori, invitati a farlo dagli specchi, previsti nell'allestimento, e dalle superfici riflettenti, come quelle della Sala Ebe, dove la scultura di Canova (installazione permanente) è circondata da pannelli a specchio, creando un effetto visivo notevole.

Mentre, anche io, mi scattavo un selfie, ho avvertito ancora di più l'assenza della fotografia.

Tornerò sicuramente a visitare la mostra, con una guida, per comprendere meglio le opere esposte e trarre comunque insegnamenti e ispirazione. Tuttavia, mi rammarica constatare che, ancora una volta, la fotografia venga esclusa dal dialogo con le altre forme artistiche.

Lost in Translation, nel 2024 by Filippo Venturi

A distanza di anni, ho rivisto Lost in Translation di Sofia Coppola. Ricordavo fosse un buon film, ma questa volta me ne sono innamorato ancora di più.

È uno di quei film in cui sembra accadere poco, ma in realtà accade moltissimo. Due persone diverse, con due solitudini diverse – accentuate anche dalla differenza d’età – si incontrano e condividono un breve, intenso capitolo delle loro vite. Forse è proprio la consapevolezza che si tratti di qualcosa di profondo ma fugace, a renderlo così speciale. Forzare una storia del genere per trasformarla in qualcosa di ordinario non funzionerebbe.

Non è una di quelle avventure giovanili estive, leggere e spensierate, di cui a malapena ricordiamo i dettagli. È un contatto più maturo, quasi una pausa da una realtà troppo ingombrante, una parentesi in una dimensione parallela.

La magia di questa storia prende vita grazie a una sceneggiatura straordinaria (giustamente premiata con l’Oscar) e a una regia elegante, capace di creare atmosfere e suggestioni musicali difficili da ritrovare altrove (qualcosa di simile c'era anche nel suo film Somewhere).

Scarlett Johansson è meravigliosa, ma la mia adorazione va a Bill Murray: quando vidi il film per la prima volta, non lo avrei mai immaginato adatto per un ruolo di questo tipo (per me era ancora quello di Ghostbusters e Ricomincio da capo), e invece qui è perfetto. La sua ironia resta intatta, ma si arricchisce di profondità e fascino.

Il finale, pur ricordandomelo bene, funziona perfettamente. Se la prima volta avevo sentito la necessità di leggere online teorie su cosa si bisbigliassero all’orecchio, ora lo accetto per quello che è: un momento che non ha bisogno di essere spiegato.

Se non lo avete mai visto (o se, come nel mio caso, è passato troppo tempo), vi consiglio di recuperarlo!