Palestina

Parlare chiaro oggi significa dire “stronzo”? by Filippo Venturi

Le risposte diventate virali del comico Enzo Iacchetti a Eyal Mizrahi, presidente dell'associazione Amici d'Israele, nel programma Carta Bianca di Bianca Berlinguer, mi hanno fatto ripensare ad alcuni temi.

Il linguaggio della politica (e dei media) si è radicalizzato da tempo. I social hanno accelerato una dinamica che già esisteva: il messaggio breve, diretto, spesso aggressivo funziona meglio dell’argomentazione lunga e complessa. Chi grida, semplifica o insulta ottiene più attenzione. Questo rende più difficile per chi vuole ragionare con calma avere spazio e trovare ascolto in fruitori che hanno la soglia di attenzione di un reel.

Dire "stronzo" a qualcuno che banalizza un genocidio può sembrare l’unica reazione comprensibile. Da un lato scuote e segnala un confine invalicabile; dall’altro, però, rischia di rafforzare proprio la dinamica suddetta.

Anche io ho subìto questi effetti e sono cambiato: anni fa avrei criticato una reazione scomposta come quella di Iacchetti. L'altra sera invece l'ho trovata efficace, necessaria, persino esaltante. Sarà stata la frustrazione verso la lentezza nel riconscere qualcosa che è sotto gli occhi di tutti da mesi in Palestina, sarà stata la spocchia con cui Eyal Mizrahi ribatteva ("Definisca bambino") o altro ancora.

Da tempo una certa parte politica italiana viene criticata per la comunicazione inefficace e irrilevante; se adottassero i toni di Trump e altri politici e partiti sulla cresta dell'onda, potrebbero farsi sentire di più, ma contribuirebbero a normalizzare ulteriormente un linguaggio violento e banalizzante.

Chi mantiene la complessità perde, chi la abbandona diventa credibile. Ma se la politica e il dibattito si riducono a una gara di slogan, rischiamo di restare senza chi sappia dare voce alle sfumature, alle contraddizioni e alla realtà che non entra in un reel. Ed è proprio lì che si gioca la qualità della nostra democrazia (finché durerà).

L'abbondanza di informazioni e contenuti a cui abbiamo accesso e le risorse non illimitate del nostro cervello hanno prodotto l'unico risultato possibile: ridurre la complessità, semplificare le prese di posizione e bypassare il confronto per finire con l'odiare chi è diverso da noi, anche solo per le idee.

Non mi viene in mente una soluzione praticabile, oggi. In modo utopistico mi domando se, come società, sarebbe il caso di rinunciare a quei mezzi di comunicazione che non informano ma polarizzano, non chiariscono ma estremizzano, e che, paradossalmente, rendono impossibile ogni confronto di idee perché ci spingono a prendere posizione quotidianamente, senza poter cambiare idea.