My Dear Project

Photographs by: Barbara Kulik, Graziella Paganelli, Ilaria Liu, Ilaria Zozzi, Khadija M'Goun, Kinga Paprota, Livia Cartas, Lorenza Fabbio, Mariama Dieng, Marina Bellavista, Nadiia Kovalchuk, Salomè Emperatriz San Martin, Svetlana Mocanu, Yujuan Chen.
Texts by: Luciana Garbuglia (president of Unione Rubicone e Mare), Valeria Gentili (president of Associazione di promozione sociale Between), Elena Dolcini (curator and art critic), Filippo Venturi (photographer and workshop teacher)

Emuse publishing house, ISBN: 978-88-32007-42-8
Editorial director: Grazia Dell’Oro
Editorial coordinator: Filippo Venturi
Graphic project: Denis Pitter


(Segue testo in italiano)

The “My Dear” workshop, part of the European Shaping Fair Cities project, was aimed at twenty women who live in Romagna (in Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant’Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli and Gatteo) and involved in the Between Association. The protagonists are women of nine different nationalities (Italian, Romanian, Polish, Bulgarian, Ukrainian, Chinese, Peruvian, Senegalese and Moroccan), ranging in age from 22 to 65 and work in various fields: caregivers, office workers, manual workers, cultural mediators, bartenders etc.

The purpose of the workshop was the pursuit of Goal 5 of the UN 2030 Agenda: “achieve gender equality and empower all women and girls”.

The women involved in the creation of their own photographic project were equipped with disposable cameras with 27-exposure films (with certain exceptions dictated by the choice of subject or visual aspects which required the use of other equipment). This choice was dictated by the desire to provide a dedicated work tool that was not a source of distraction (as a smartphone can be) and with which it was necessary to stop and think before taking photos, as only a set number of attempts were available. Having limitations (in terms of movement due to the pandemic, as well as the number of achievable shots etc.) pushes people to become aware of the situation and strive to find a way to express themselves.

The laboratory began in autumn 2020 and lasted about six months. The initial idea and planning stages date back to twelve months earlier, when our lives had not yet been turned upside down by Covid-19. The pandemic transformed this journey, making it tortuous and putting reaching the finish line at risk but, soon, it made the group more cohesive, allowing it to weather the storm and come out stronger for it.

The sharing of difficulties during the health emergency, the digital tricks to maintain contact even when the lockdown prevented in-person meetings, the desire to tell the story of their lives through photography, led to a profound and interesting result. As often happens, the most significant experiences are those concluded amidst unexpected events and difficulties.

The projects produced focused on personal stories, confidences, but also on social relations that we were forced to review due to social distancing and measures to prevent contagion. From this journey there emerged a universe of testimonies dotted with distinct sensitivities, different origins, disparate approaches, but all converging in the need to receive and offer, today more than ever, a listening ear, understanding and closeness.

For a long time, the photographic tool was reserved for a select number of professionals. For a while, however, there has been a rapid process of “democratisation” of photography. Anyone can take a photograph, even without specific equipment, and can play a leading role in the flow of communication. And there’s more. Photographs can help activate social processes and influence public perception.


Il laboratorio “My Dear”, inserito all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities, è stato rivolto a venti donne che vivono in Romagna (a Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant'Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli e Gatteo) e coinvolte dall’Associazione Between. Le protagoniste sono di nove nazionalità diverse (italiana, rumena, polacca, bulgara, ucraina, cinese, peruviana, senegalese e marocchina), hanno un range di età che va da 22 a 65 anni e lavorano in diversi ambiti: assistenti familiari, impiegate, operaie, mediatrici culturali, bariste, ecc.

La finalità del laboratorio era il perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Alle donne coinvolte nella realizzazione di un proprio progetto fotografico, sono state assegnate delle macchine fotografiche usa e getta con rullini da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive che hanno richiesto l'uso di altri mezzi). Questa scelta è stata dettata dal desiderio di fornire uno strumento di lavoro dedicato, che non fosse fonte di distrazione (come può essere uno smartphone) e col quale fosse necessario fermarsi a riflettere prima di fotografare, avendo un numero predefinito di tentativi. Avere delle limitazioni (di spostamento a causa della pandemia, di numero di scatti realizzabili, ecc.) spinge le persone a prendere coscienza della situazione e a ingegnarsi per trovare una via per esprimersi.

Il laboratorio è stato avviato nell’autunno 2020 ed è durato circa sei mesi. L’ideazione e la progettazione risalivano a dodici mesi prima, quando ancora le nostre vite non erano state stravolte dal Covid-19. La pandemia ha trasformato questo percorso rendendolo tortuoso e mettendone a rischio il raggiungimento del traguardo ma, presto, ha reso più coeso il gruppo, consentendogli di attraversare la tempesta e uscirne rafforzato.

La condivisione delle difficoltà nel periodo di emergenza sanitaria, gli stratagemmi digitali per mantenere il contatto anche quando il lockdown impediva di incontrarsi, il desiderio di raccontare con la fotografia le proprie vite, ha portato a un risultato profondo e interessante. Come spesso accade, le esperienze più segnanti sono quelle che si portano a termine fra imprevisti e difficoltà.

I progetti realizzati si sono focalizzati su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa del distanziamento sociale e dei dispositivi per prevenire il contagio. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze costellato da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutte convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Lo strumento fotografico per un lungo periodo è stato riservato a pochi professionisti. Da diverso tempo però si è assistito a un rapido processo di “democratizzazione” della fotografia. Chiunque può scattare una fotografia, anche senza strumentazione specifica, e può avere un ruolo da protagonista nel flusso comunicativo. Non solo, con le fotografie si può contribuire ad attivare processi sociali e influenzare la percezione pubblica.

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